di Doriano Dal Cengio
Come da una decina d'anni a questa parte anche quest’anno ho passato il ferragosto a Bordogna, un borgo adagiato su una delle valli laterali dell’alta Val Brembana. E’ un periodo di relax consacrato alla famiglia. Il tempo quest’anno è stato piacevole il ché mi ha permesso di sfruttare al meglio il giardino della casa che mi ospita. Grande veduta sulla valle sottostante con davanti in lontananza il profilo del monte Venturosa che si confonde con quello del monte Cancervo, mentre sulla sinistra si avvicina e spazia ad anfiteatro tutto il crinale di monte Menna ricoperto dalla sua fitta vegetazione. Un crinale che cattura per l’imponenza e la vastità della veduta, ma soprattutto per la moltitudine di tonalità di verde che esprime. Anche quest’anno, come tutti gli anni, facendomi rapire dalla visione mi sono trovato a pensare a come un pittore potrebbe dipingere quella vegetazione rendendo la giusta testimonianza di così tante sfumature di un unico colore.
Quest’anno a tenermi compagnia distraendomi a tratti dalla visione e dal piacere della brezza della valle è stato un libro di quelli che ti catturano da subito incollandoti alle sue pagine, si tratta di un romanzo, Sul lettino di Freud, di Irvin D. Yalom.
Partiamo dall’autore. Irvin D. Yalom (1931) è uno psicoterapeuta americano e un personaggio un po’ atipico nel panorama della psicoterapia contemporanea. Non ha fondato nessuna scuola, non ha proposto una nuova teoria della mente, o nuove tecniche da applicare al lavoro terapeutico. E’ poco noto in Italia, ma negli ultimi anni, grazie all’iniziativa della casa editrice Neri Pozza, che sta traducendo e pubblicando le sue opere, il suo nome compare sempre più spesso negli scaffali delle più note librerie nazionali.
Yalom nasce a ridosso della grande depressione americana da una famiglia ebrea di Washington. I genitori, immigrati di origine russo-polacche, arrivano poverissimi a New York nel 1921 e successivamente si trasferiscono a Washington dove gestiscono un piccolo negozio di alimentari. Grazie ad una borsa di studio frequenta e si laurea in medicina alla George Washington University specializzandosi poi in psichiatria. Nella seconda metà degli anni sessanta diventa professore di psichiatria alla Stanford University di cui è tuttora professore emerito. In quegli anni si avvicina alla psicologia esistenziale di Rollo May e si interessa quindi agli scritti e alle attività di vari personaggi che in quegli anni animano quel fermento culturale ricco di sperimentazioni all’interno del quale nascerà la psicologia umanistica. Inizia a scrivere da prima dedicandosi alla saggistica (anni ottanta) e successivamente a quella che sembra essere la sua vera passione, la narrativa (anni novanta).
La peculiarità di Yalom è quella di parlare di psicologia e psicoterapia attraverso il racconto di storie. Yalom ama le storie. Yalom ama la vita che diventa storia, trama, espressione di una esistenza. Yalom ascolta le storie che i suoi pazienti gli raccontano e le racconta. Uno dei primi libri che attirano l’attenzione del grande pubblico è Love's Executioner and Other Tales of Psychotherapy, del 1989, in cui racconta dieci storie di pazienti seguiti in psicoterapia, che trova una prima edizione in italiano nel 1990 col titolo Guarire d’amore, storie di psicoterapia, riproposto con una nuova edizione nel 2015. L’esordio narrativo che prende la forma del romanzo avviene nel 1992 con When Nietzsche wept, che in Italia diventa Le lacrime di Nietzsche, pubblicato da Neri Pozza nel 2006, seguono Lying on the Couch nel 1996, che in italiano viene proposto con un titolo più accattivante, Sul lettino di Freud pubblicato nel 2015, più tardi arriva The Schopenhauer Cure, 2005, la Cura Schopenhauer pubblicato l’anno dopo, per arrivare a The Spinoza Problem del 2012 pubblicato in Italia nello stesso anno con il titolo Il problema Spinoza.
Yalom non pubblica solo romanzi, parte della sua produzione letteraria rimane nell’ambito della saggistica ma lo fa con il suo stile, uno stile scorrevole e narrativo come nel caso di The Gift of Therapy, del 2001 che diventa da noi nel 2014, Il dono della Terapia, autentico manuale scritto pensando ad una nuova generazione di psicoterapeuti e ai loro pazienti, in cui tocca come fossero appunti accumulati negli anni, un centinaio di argomenti che hanno a che fare con la psicoterapia.
Oggi le sue storie e suoi racconti sono oggetto di studio nei corsi di psicologia di varie università, un po’ come è successo con In Treatment, fortunata serie televisiva americana del 2008 (rifatta anche con una produzione italiana nel 2013) che racconta la vita professionale di Paul Weston uno psicoterapeuta di New York attraverso le sedute settimanali e le vicende vissute con i suoi pazienti.
Lo schema di Sul lettino di Freud è un po’ quello, i protagonisti sono vari ma ruotano intorno ad una figura protagonista rappresentata da Ernest Lash, psichiatra e psicoterapeuta di San Francisco. Ci sono colleghi con cui il dott. Lash discute di terapia, di etica, di deontologia, di approccio relazionale con il paziente, ma ci sono anche le loro personali storie con tutte le sfaccettature esistenziali che le accompagnano e che danno spessore ai personaggi. Ci sono poi i pazienti di questo o quel terapeuta, anche loro con i loro vissuti raccontati spesso attraverso frammenti di sedute in cui vengono rappresentate le varie interazioni. Un aspetto stilistico davvero entusiasmante della narrativa di Yalom è quella di giocare a volte su un doppio livello, ad esempio il dialogo che intercorre fra paziente e terapeuta viene intercalato dai pensieri che l’uno e l’altro hanno durante la conversazione che suggerisce bene come a volte quello che si dice non corrisponde propriamente a quello che si pensa o si sente.
Senza svelare nulla della trama del racconto ci sono tuttavia dei temi che ricorrono e fanno da filo conduttore nella narrazione e che hanno per uno psicoterapeuta una certa rilevanza.
Uno dei temi è quello del transfert e controtransfert. E’ un tema prettamente psicoanalitico e riguarda i reciproci investimenti emotivi che intercorrono tra paziente e terapeuta. Yalom nella finzione del racconto solleva una questione che probabilmente gli stava a cuore, visto che la ritroviamo anche in altri suoi libri. Qual è la giusta distanza? Se è vero che quella che si instaura fra terapeuta e paziente è una relazione di intimità in quanto i contenuti portati in seduta hanno spesso risvolti nascosti o poco riconoscibili o poco accettabili per la morale del paziente o dello stesso terapeuta, fino a che punto è lecito spingersi? Se l’intimità condivisa fra due persone che come in tutti i rapporti porta inevitabilmente a ridurre le distanze fra chi la vive, fino a che punto possiamo concepirla in un setting terapeutico? L’intensità dei sentimenti in gioco e il possibile innamoramento della paziente nei confronti del terapeuta sono parte non solo della letteratura, ma della storia della psicoanalisi, cosa succede se ad innamorarsi è il terapeuta? In che misura, ad esempio è concepibile e accettabile una relazione sessuale fra terapeuta e paziente? Quali sono o potrebbero essere le conseguenze per l’uno e per l’altra di una tale eventualità? E per la terapia?
Ecco Yalom ci porta con abilità su questo terreno minato riuscendo ad andare oltre l’ovvio, sfaccettando e rappresentando nel processo i pensieri e i sentimenti dell’uno e quelli dell’altra. Come conseguenza Yalom solleva un’altra questione meno spinosa ma altrettanto dibattuta nell’ambito della psicoterapia che si può sintetizzare così: quanto il terapeuta deve esporsi nella relazione? In che misura il terapeuta è o può essere neutrale? La neutralità dietro la quale si posiziona l’analista, quanto rappresenta una maschera? Se la neutralità è una posizione difensiva del terapeuta, quanto può essere utile al paziente? In altre parole Yalom pone la questione dell’autenticità del terapeuta nella relazione. Questione questa per certi versi superata non tanto in ambito psicoanalitico, quanto in tutte quelle scuole di pensiero psicologico che ad un certo punto si sono staccate dall’ortodossia psicoanalitica per dare vita a qualcosa d’altro. Penso appunto a tutto il filone umanistico-esistenziale che di questa questione, ha fatto negli anni sessanta/settanta con Carl Rogers, Rollo May, Fritz Perls, Eric Berne, per citarne alcuni, uno dei capisaldi di nuovi orientamenti in ambito psicoterapeutico.
Yalom, sappiamo, aderisce a questo nuovo orientamento, per lui, si coglie dai suoi scritti, un terapeuta dev’essere una persona autentica, vera, reale, ma fino a quanto? Ci sono dei limiti ad essere ciò che si è? Quanto il terapeuta deve o può o è utile mostrare di sé in terapia? Yalom fa vivere al protagonista del suo romanzo tutto il travaglio di questo passaggio evidenziandone le idee e i dubbi rispetto alla questione della trasparenza del terapeuta nella relazione, trasferendo probabilmente su Ernest Lash qualcosa che lui stesso ha vissuto in prima persona. Sulla scia di questo, sfruttando le possibilità narrative del romanzo, viene messo in risalto anche tutta la fragilità che può celarsi dietro il ruolo così apparentemente solido e autorevole del terapeuta, in quanto dietro il ruolo c’è una persona con la sua vita con cui deve confrontarsi fra una seduta e l’altra.
Un libro quindi coinvolgente, di piacevole lettura, in cui è facile per il lettore scivolare dentro la vita di uno o dell’altro cogliendo esattamente quello che l’autore vuole comunicare. Un libro che consiglio a chiunque si interessi di psicologia o di psicoterapia, indipendente da quale parte del “lettino” abbia deciso di collocarsi.
Pubblicato il 24.08.2016