di Doriano Dal Cengio – Elisabetta Belloli
Ci siamo già occupati del cambiamento come tema centrale del lavoro psicoterapeutico in Psicoterapia e Cambiamento. Abbiamo cercato in quella occasione di descrivere ciò che avviene nel corso del lavoro terapeutico secondo le principali scuole di psicoterapia contemporanea, per arrivare poi ad una sintesi che permettesse di andare oltre le differenze concettuali e linguistiche in modo da cogliere i possibili elementi comuni che permettono ai vari approcci di arrivare al cambiamento. Per usare una nota metafora possiamo dire che ci sono diversi sentieri che conducono in cima alla montagna, sentieri che riflettono i percorsi tracciati dai pionieri, cioè da quelle guide che per prime li hanno percorsi, tracciati e poi fatti conoscere. Rimane il fatto che l’obiettivo per tutti i sentieri è quello di portarci in cima alla montagna. In questo scritto invece ci occuperemo di uno di questi sentieri, così come ci è stato descritto dai pionieri dell’analisi transazionale e dalle successive guide che hanno cercato di perfezionarlo.
La Terapia Ridecisonale
La terapia ridecisionale è una delle scuole terapeutiche sorte all’interno del filone tracciato da Eric Berne con l’analisi transazionale. I pionieri di tale approccio sono stati i coniugi Bob e Mary Goulding, due terapeuti americani che hanno avuto un certo risalto all’interno della psicologia transazionale negli anni settanta e ottanta. Sono stati entrambi allievi diretti sia di Fritz Perls, fondatore della gestalt-therapy, che di Eric Berne, fondatore dell’analisi transazionale e hanno dato vita ad una loro scuola psicoterapeutica che metteva insieme elementi di gestalt e di analisi transazionale, denominata redecision-therapy (terapia ridecisionale). Il loro libro forse più famoso è stato “Il cambiamento di vita attraverso la terapia ridecisionale” del 1979, in cui presentavano la loro visione dell’analisi transazionale, considerata il loro punto di riferimento teorico e una notevole mole di esempi e spunti clinici, presi dalla trascrizione di registrazioni dei loro lavori fatti per lo più in setting gruppali nel corso di lunghi workshop.
E’ opportuno ricordare che ogni scuola psicologica ha una propria teoria di come si sviluppa la personalità del bambino e di come si sviluppano le varie psicopatologie. Nel caso dei Goulding l’idea di fondo è che nel corso dello sviluppo e nel corso delle varie interazioni che si susseguono nel tempo fra genitori e figli passino dei messaggi. Quando questi messaggi sono positivi vanno a stimolare la fiducia in se stessi e l’autostima, se invece sono prevalentemente negativi vanno invece a limitare sia la fiducia che l’autostima, creando così le premesse per delle difficoltà relazionali o per la costruzione di copioni esistenziali limitanti e infelici. Loro chiamano questi messaggi ingiunzioni e contro-ingiunzioni. In base ai messaggi ricevuti, indipendentemente dal fatto che siano messaggi positivi o viceversa negativi, il bambino che li riceve si forma delle idee, delle opinioni su di sé e sul mondo (opinioni di copione) e sulla base di queste opinioni prenderà poi delle decisioni (decisioni di copione) che lo porteranno a scegliere come porsi nei confronti di se stesso, degli altri, o del mondo. In accordo con Eric Berne, il quale sosteneva che ogni decisione presa nel corso dell'infanzia poteva essere ridecisa in futuro, i Goulding si sono concentrati nel loro lavoro, nel creare una tecnica per portare le persone a ridecidere (ecco perchè terapia ridecisionale) scelte di vita fatte su decisioni prese durante l'infanzia e disfunzionali in età adulta.
Le ingiunzioni, ricordiamolo, sono nella psicologia transazionale, dei messaggi che i genitori inviano ai figli sottoforma non tanto o non solo di linguaggio verbale, quanto piuttosto di atteggiamenti non verbali, modi di essere, modalità relazionali. Essendo le ingiunzioni messaggi a valenza negativa solitamente provengono da genitori che sono in difficoltà, in quanto sono persone che hanno dei problemi nel gestire la propria esistenza e quindi si trovano a vivere spesso stati d’animo negativi che si riflettono poi nel modo di gestire la relazione educativa con i figli. E’ interessante notare osservando l’elenco delle principali ingiunzioni che i Goulding hanno identificato e su cui hanno prevalentemente impostato il loro lavoro terapeutico, come le situazioni descritte siano tutte delle negazioni, caratterizzate dall’utilizzo dell’avverbio Non che va a definire una azione inibitoria volta a impedire un’azione o un certo modo di essere. E’ in questa azione inibitoria che si veicola il messaggio.
Le ingiunzioni identificate da loro, che ritengono comunque non complete né esaustive, sono: Non. Non essere. Non entrare in intimità. Non essere importante. Non essere un bambino. Non crescere. Non avere successo. Non essere te stesso. Non essere sano di mente. Non star bene in salute. Non fare parte. Non sentire. Non pensare.
Siamo convinti che ogni genitore nella relazione educativa fa quello che sa fare, dà quello che può dare, nel senso che cercherà di manifestare e comunicare affetto, sostegno, vicinanza, per come ne è capace. Se tendenzialmente, per aspetti non necessariamente legati alla genitorialità ma alla sua condizione esistenziale, vive con una certa prevalenza stati d’animo negativi come ad esempio ansia, delusione, paura o tristezza difficilmente potrà impedire di farli trasparire nelle sue relazioni, comprese quelle genitoriali e quindi le sue modalità comunicative e relazionali ne saranno condizionate.
Con il termine contro-ingiunzioni si intendono invece quei messaggi che veicolano delle aspettative genitoriali trasmesse direttamente dai genitori oppure intuite o immaginate dal figlio/a che di riflesso le fa proprie. Comprendono quelle che in analisi transazionale vengono definite “spinte” e sono: Sii forte. Sforzati. Sii perfetto. Sbrigati. Fallo per me. A queste cinque spinte Mary Goulding ne aggiunge una sesta: Sta attento.
Ingiunzioni e contro-ingiunzioni in azione
Se partiamo, per esempio, dall'ingiunzione Non che ritroviamo poi coniugata in vari modi nelle successive ingiunzioni è evidente che tale posizione proviene da genitori in cui è forte un sentimento di insicurezza e paura. Probabilmente sono persone che in fondo pensano che il mondo sia un luogo sostanzialmente cattivo o un luogo pericoloso, magari perché lo hanno sperimentato di persona e quindi una volta diventati genitori, sentendosi responsabili nei confronti dei figli avranno inevitabilmente un’attenzione particolare, un atteggiamento di protezione, saranno molto presenti perchè temono che possa succedere qualcosa di negativo anche ai figli diventando così apprensivi o troppo protettivi. In seguito alla loro esperienza del mondo e alle convinzioni che ne sono seguite (es: il pericolo è ovunque, non ci si può mai fidare, bisogna tenere gli occhi bene aperti, etc) tendono a inibire il bambino/a impedendogli per esempio di sperimentare molte cose che invece ai bambini piacciono e sono necessari per il loro sviluppo. I messaggi possono diventare: non correre, non salire sull'altalena che è pericoloso, non giocare a pallone che rischi di farti male, non allontanarti troppo che rischi di perderti, non sudare che prendi freddo e poi ti viene il raffreddore etc. Possono essere infinite le paure che i genitori possono avere ed esprimere proiettandole sui figli. Il problema è che i bambini non avendo nessuna possibilità di difesa le fanno proprie e queste paure diventano un limite al loro modo di essere, alla loro capacità di affrontare la vita. Allo stesso modo se pensiamo alla ingiunzione non essere, con le relative varianti non essere un bambino, non essere importante, non essere te stesso, non essere sano di mente, vediamo come i messaggi vanno a “colpire” una dimensione importante, quella dell'essere, aspetto fondamentale per una crescita sana caratterizzata dalla capacità di accettarsi ed esprimersi per quello che si è, in rapporto alle fasi di vita che si stanno attraversando. Non essere un bambino può implicare tutta una serie di messaggi (ad esempio i bravi bambini … non piangono, non fanno i capricci, non si sporcano, non disturbano, fanno i compiti, sono obbedienti, ascoltano i genitori etc.) in cui passano richieste che anticipano un processo di adultizzazione, in quanto si impedisce al bambino di essere e vivere i vari aspetti propri dell'età che ha. Se poi a questa ingiunzione si associa una spinta come ad esempio sii forte, ecco che probabilmente quel bambino/a crescerà nella convinzione che per essere O.K., cioè per andar bene ai propri genitori, dovrà dimostrare piuttosto precocemente di saper badare a se stesso, non dovrà pertanto dare fastidio, non dovrà chiedere aiuto quando si sentirà in difficoltà, dovrà imparare precocemente a controllare i propri stati d’animo, probabilmente imparando a inibire il proprio sentire, sviluppando molto l’aspetto razionale con cui cercherà di controllare non solo se stesso e quindi ciò che sente, ma anche gli altri e la realtà esterna perché solo così si sentirà forte, adeguato, al sicuro.
E’ chiaro che crescendo avrà qualche difficoltà di relazione sia con se stesso che con gli altri, possiamo immaginare che sarà probabilmente una persona tendenzialmente rigida, perfezionista, fredda, poco empatica, spigolosa, magari ossessiva su alcuni aspetti.
Oppure se prendiamo ad esempio un’altra ingiunzione come non essere importante, vediamo che questo messaggio può passare attraverso una modalità genitoriale di tipo svalutante, in cui alcune espressioni, alcune richieste, alcune necessità espresse dal bambino/a non vengono per svariati motivi accolte. Importanti bisogni del bambino possono venire ignorati, trascurati, delusi, negati, per cui è possibile che si formi in lui l’idea di non valere, di non essere all’altezza, di non essere degno di attenzioni e quindi che cosa farà? Quali decisioni potrà prendere sulla base di queste convinzioni? Probabilmente reagirà cercando di ottenere attenzioni, le attenzioni che non ha ricevuto, accentuando comportamenti che richiamano l’attenzione dei genitori e successivamente quella degli altri, come ad esempio degli insegnanti quando inizierà il suo iter scolastico, oppure di altri bambini in modo da essere notato e accolto nel gruppo. Potrà farlo accentuando comportamenti aggressivi in cui cercherà di affermarsi, cioè essere riconosciuto, imponendosi sugli altri anche con la forza, soprattutto se ha un sii forte come spinta, oppure cercherà di competere per attirare l’attenzione, per rendersi visibile sfidando gli altri sul terreno del confronto, ad esempio del risultato scolastico e quindi si impegnerà molto diventando meticoloso e preciso in modo da mettersi in luce soprattutto se ha come spinta sii perfetto. Oppure adotterà una posizione più passiva, più ritirata, di chi non cerca di mettersi in luce anzi evita di farlo, in attesa che qualcuno magari si accorga di lui e lo vada a cercare, non si esporrà, non andrà incontro, aspetterà soprattutto se avrà come contro-ingiunzione sta attento. Nelle relazioni sociali è probabile che rivestirà più facilmente il ruolo di gregario, si appoggerà a qualcuno, si farà trascinare, lasciando la possibilità di scelta agli altri a cui adattarsi per convenienza, perché avrà paura di sbagliare, di non fare la cosa giusta, aspetto che nella sua fantasia può significare un ulteriore rifiuto da parte degli altri.
Aspetti teorici
Come si può cogliere gli scenari decisionali e relativi comportamenti possono essere tanti come tante possono essere le variabili che concorrono a definirli. Nella visione dei Goulding i messaggi genitoriali non vengono “impiantati” nella mente del bambino in maniera automatica, c’è una mediazione anche con altre variabili. Diciamo che una ingiunzione diventa una convinzione, una credenza, una opinione, quando viene in qualche modo rielaborata dal bambino e fatta propria, per cui si convince che le cose stanno proprio così. Fra le variabili che possono giocare un ruolo nel costruzione delle credenze e poi delle decisioni, entrano anche aspetti temperamentali perché non tutti i soggetti reagiscono allo stesso modo nei confronti delle sollecitazioni genitoriali. Basti pensare alla componente introversione/estroversione o alla teoria dei temperamenti di Cloninger, dove si sottolinea la presenza di un assetto neurobiologico che tende a predisporre un soggetto ad un certo tipo di reattività, e quindi di risposta agli stimoli esterni. Vanno inoltre prese in considerazione le influenze esercitate nella formazione da parte di altri adulti significativi come nonni, zii, insegnanti, che possono stemperare o correggere possibili limiti o carenze genitoriali, mandando messaggi di altra natura magari più positivi che offrono quindi una possibilità compensatoria. Quello che ci sembra valga la pena sottolineare, in linea con il pensiero berniano, è che nella interazione educativa passano molte cose, ma in particolare nei primi anni, quello che dovrebbe connotare in maniera specifica tale relazione è la possibilità di soddisfare i bisogni che il cucciolo d’uomo esprime da parte di chi si prende cura di lui. E’ su tale soddisfazione che si gioca la costruzione della sua identità, fatta dallo strutturarsi progressivo di opinioni, convinzioni, costrutti, rappresentazioni mentali che riguardano l’idea di sé e degli altri e delle relative relazioni fra sé e gli altri. Sono quelle che Berne, come abbiamo già sottolineato, definisce opinioni di copione, sulla base delle quali si prenderanno delle decisioni e si faranno delle scelte che diventeranno nel tempo e nello svolgersi della propria trama esistenziale l’interfaccia fenomenologica del proprio modo di essere nel mondo. E' il nostro personale copione, come ci ricorda Berne, cioè la parte o le parti che si vanno prevalentemente a recitare nel noto palcoscenico della vita e che possono essere preludio di soddisfazioni gratificanti oppure di ripetute e complicate vicissitudini ricche di sofferenza.
Quello che abbiamo trovato interessante nell'approccio dei Goulding, in linea con ciò che pensiamo, è che propongono come centrale la questione dei bisogni e della loro soddisfazione. E’ evidente che l’essere umano viene al mondo con una serie di bisogni che necessitano di essere presi in considerazione da chi si prende cura di lui, come è evidente che la soddisfazione di tali bisogni sia funzionale da un lato alla sua sopravvivenza e dall’altro alla sua evoluzione. Essendo il cucciolo d’uomo incapace di provvedere a se stesso, necessita che qualcuno si prenda cura di lui per un tempo notevole, anzi siamo nella scala evolutiva la specie che prevede il tempo più prolungato di accudimento.
Avevamo già sottolineato in un'altra occasione come sostituendo l’avverbio Non alle ingiunzioni suggerite dai Goulding con il sostantivo bisogno appariva chiaramente come le ingiunzioni fossero la negazione o la limitazione alla soddisfazione di importanti bisogni: Il bisogno di essere. Il bisogno di entrare in intimità. Il bisogno di essere importante. Il bisogno di essere un bambino. Il bisogno di crescere. Il bisogno di avere successo. Il bisogno di essere te stesso. Il bisogno di essere sano di mente. Il bisogno di star bene in salute. Il bisogno di fare parte. Il bisogno di sentire. Il bisogno di pensare.
In questa prospettiva appare chiaro che la possibilità di evoluzione sana o patologica di un individuo si gioca sulla capacità di chi si prende cura di lui, di essere adeguato o meno nel provvedere alla soddisfazione di importanti bisogni che sono insiti nella natura umana in quanto sono biologicamente determinati perché diventano, come sostiene Maslow, motivazione e spinta nella ricerca di evoluzione e crescita personale.
E' interessante notare come la teoria di Abraham Maslow con la sua famosa piramide dei bisogni si integri perfettamente con la teoria delle ingiunzioni dei Goulding intesa come teoria dei bisogni negati o inibiti. Maslow ad esempio, metteva alla base della sua piramide i bisogni fisiologici e poi quelli di sicurezza, che lui chiama anche primari, come il bisogno di essere nutriti, di essere puliti, di dormire, di essere in contatto tattile, di essere coccolati, di essere protetti, di essere difesi etc., un bambino/a trascurato a questo livello riceve, direbbero i Goulding, una ingiunzione di non essere, di non essere sano, di non essere importante, di non sentire, di non fare parte. Pensando poi ai bisogni secondari, quelli considerati più evolutivi nella piramide di Maslow, come i bisogni di integrazione e affetto o i bisogni di stima, si può pensare che i bambini trascurati nel riconoscimento di queste necessità metabolizzino opinioni e quindi ingiunzioni quali: non entrare in intimità, non essere importante, non essere te stesso, non pensare, non avere successo.
Ma perchè è importante che i vari bisogni avvertiti o espressi dalla natura umana trovino soddisfazione soprattutto nei primi anni di vita e anche nel corso dell'intera esistenza? E' evidente che la soddisfazione dei bisogni primari è funzionale alla sopravvivenza del cucciolo d'uomo, mentre quelli successivi di sicurezza, integrazione, affetto, stima e realizzazione sono importanti per la strutturazione dell'equilibrio personale e del livello di gratificazione e di soddisfazione nella vita.
La soddisfazione dei bisogni crea appagamento e benessere, che sono fondamentali per lo sviluppo della fiducia. In questo senso tutta la letteratura soprattutto di ispirazione psicoanalitica richiama questi concetti, basti pensare alla fiducia di base di Erickson, o al concetto di base sicura di Bowlby, o anche al concetto di onnipotenza soggettiva suggerito da Winnicott, per citare quelli che più conosciamo. L'idea di fondo è che più un bambino/a vede soddisfatti i propri bisogni naturali sia primari che secondari, più si sentirà appagato, e più si sentirà appagato e più vivrà un soggettivo stato di benessere. Questo soggettivo stato di benessere svilupperà nel tempo un senso di fiducia e di attaccamento sicuro nei confronti di chi si sta prendendo cura di lui (concetto di madre sufficientemente buona di Winnicott) aspetto questo che diventa la premessa per una successiva interiorizzazione di questo senso di fiducia che da esterno, cioè riposto negli altri, diventerà progressivamente interno traducendosi in fiducia in se stesso. La fiducia in se stessi è alla base dell'autostima, che si traduce nella capacità di orientarsi con un certo grado di ottimismo nel mondo (si veda in questo senso le affinità con il concetto di autoefficacia di Bandura) in quanto si pensa che l’autostima misuri il grado di sicurezza e quindi la capacità di affrontare le difficoltà, gli ostacoli, le sfide che la vita pone davanti.
Da questa prospettiva pensiamo che tutta la dimensione psicopatologica così come ci viene descritta dalla nosografia psichiatrica (principali disturbi in asse I e II del DMS per intenderci) sia la conseguenza di carenze nella fase di accudimento del cucciolo d'uomo, carenze che hanno inciso sulla soddisfazione dei suoi bisogni naturali. La conseguenza delle interazioni di accudimento inadeguate portano a sviluppare un ridotto senso di fiducia sia nei confronti del mondo esterno che del mondo interno, creando pertanto insicurezza e quindi paura. Le rappresentazioni mentali, i costrutti personali, le opinioni e convinzioni di copione, che vanno a definire l'idea di sè e di come ci si percepisce nel mondo si vanno così costruendo partendo da questa premessa di insicurezza e di non fiducia. E' evidente che sulla base di queste rappresentazioni e credenze il bambino/a prenderà comunque delle decisioni, farà comunque delle scelte, agirà comunque dei comportamenti, sulla base di ciò che ha appreso, delle attenzioni positive o negative che comunque ha ricevuto, delle ingiunzioni che ha accettato. Le decisioni prese e i comportamenti agiti saranno funzionali alla ricerca di attenzione, cioè avranno come obiettivo quelli che Berne chiama riconoscimenti e carezze, che sono la via per far sì che gli altri significativi si attivino per provvedere ai nostri bisogni naturali.
Possiamo quindi immaginare che la svariata gamma dei disturbi psicologici siano leggibili come tentativi disfunzionali di avere attenzione e riconoscimenti e di appagare importanti bisogni insoddisfatti. Se pensiamo per esempio ad un bambino/a che cresce con un senso di insicurezza per la scarsa attenzione ricevuta, vedremo che cercherà comunque di ottenere attenzione perché di questa ha bisogno e lo farà magari sviluppando comportamenti ritirati ed evitanti nel caso ad esempio di un temperamento introverso, o viceversa attirando l'attenzione con comportamenti esuberanti e iperattivi nel caso di un temperamento estroverso. Si muoverà comunque cercando di ottenere ciò che non ha avuto. Supponiamo che riesca nel suo intento sia in un caso che nell'altro, ciò gli confermerà che facendo proprio così otterrà quello che cercava. Se durante l’infanzia un certo modo di porsi, di essere, di agire ottiene un risultato anche se parziale, quello schema comportamentale verrà rinforzato, diventerà quindi apprendimento, e quel bambino/a tenderà a riproporlo tutte le volte che cercherà di avere attenzione per soddisfare un proprio bisogno. Se durante l’infanzia certe modalità comportamentali, certi schemi operativi possono risultare efficaci, in quanto portano ad un risultato, potrebbero invece non esserlo in età adulta. A riprova di questo, tornando all’esempio fatto, si può immaginare che un certo modo di porsi riservato e timido in età adulta più che attirare l’attenzione e quindi l’avvicinamento degli altri, potrebbe consolidare invece un certo isolamento sociale e relative difficoltà relazionali, oppure una certa esuberanza potrebbe ugualmente portare a rifiuti e difficoltà relazionali, per l’aspetto di invadenza e tendenza alla sopraffazione insito in questo modo di porsi.
Il lavoro ridecisionale proposto dai Goulding e proseguito poi da altri come John McNeal o in Italia dal gruppo di Raffaele Mastromarino, tende ad inserirsi a questo livello: riconoscere che certi modi di porsi, di agire, di fare, che risalgono a decisioni prese durante l’infanzia non sono più funzionali in età adulta e necessitano quindi di una modifica, realizzando la quale si arriva ad una ridecisione.
Ridecisione e Cambiamento
Chi ha avuto modo di leggere le trascrizioni dei lavori dei Goulding sull’applicazione di quella che loro definiscono la tecnica ridecisionale, cioè una procedura specifica di lavoro volto alla ridecisione, avrà colto che il lavoro che loro propongono, si concentra non tanto sulle ingiunzioni ricevute o fatte proprie, quanto sulle decisioni prese che si traducono poi in comportamenti identificabili. La sequenza è solitamente caratterizzata da una serie di passaggi così riassumibili: si va a definire un problema o un comportamento che la persona ritiene problematico e che vuole cambiare, ne segue l’identificazione di una scena in cui tale comportamento/problema si è espresso, la persona viene invitata a calarsi nella situazione immaginata all’interno della quale viene guidata, spesso con tecniche gestaltiche, a descrivere la scena vissuta evidenziando cosa succede, cosa vede, cosa sente, cosa fa, per poi essere incoraggiata a reagire alla situazione, esprimendo quello che non si era permessa di fare nella scena immaginata, sostenendola nell’immaginare e nell’esprimere un comportamento diverso, spesso opposto a quello che è stato vissuto nella scena ricordata. La scena può essere presa dal presente recente o dal passato, può essere anche una scena originaria dell’infanzia che rimanda ai ricordi della persona in cui si è verificato un evento che ha a che fare con il problema vissuto nel presente.
L’importante per i Goulding è che la persona riviva e rielabori durante il lavoro ridecisonale una situazione in cui si dà il permesso di mettere in atto scelte diverse da quelle che aveva posto in essere precedentemente o nel suo lontano passato quando era un bambino/a. La ridecisione passa attraverso la sperimentazione seppur in termini di fantasia di qualcosa di diverso che apre nuove possibilità. Il fatto che la sperimentazione venga immaginata e non sia propriamente reale non sembra essere determinante perché quello che diventa importante è che la persona nel processo di immedesimazione la senta vera soprattutto da un punto di vista emotivo. Del resto l’importanza e l’utilizzo di tecniche di visualizzazione immaginativa sono note nella pratica clinica, basti pensare alle induzioni ipnotiche, alle pratiche di rilassamento profondo, al training autogeno. Calarsi dentro una narrazione guidata dall’esterno rende le immagini molto reali al punto da essere percepite emotivamente come vere, cosa che accade anche nell’esperienza onirica, dove i sogni rappresentano la creazione di una fantasia irreale che viene percepita dal sognatore come vera, reale. Cogliendo questa prospettiva, pensiamo che tutte le ingiunzioni descritte dai Goulding così come tutti i messaggi, sia negativi che positivi, inviati dai genitori e accettati dai figli, siano sostanzialmente delle suggestioni ipnotiche in quanto pur essendo “solo” messaggi che descrivono situazioni spesso illusorie, nella misura in cui vengono credute e fatte proprie, diventano reali.
Se, per fare un esempio, pensiamo ad un bambino/a impacciato e insicuro che venga etichettato in più situazioni dai genitori come stupido, crediamo che quel bambino viva una esperienza molto simile ad una suggestione ipnotica in quanto accettando la definizione che sente ripetere intorno a sè molto probabilmente si comporterà in futuro in modo da confermare la sua “stupidità” riproponendo in vari contesti della sua vita situazione di impaccio e insicurezza. Vivrà probabilmente in maniera concreta quello che Eric Berne nel suo A che gioco giochiamo del 1964, definì come il gioco del goffo pasticcione, che identifica quelle persone maldestre che per disattenzione e goffaggine combinano una serie di guai, salvo poi dover chiedere continuamente scusa, invocando così il perdono e la relativa attenzione da parte degli altri.
Se in uno dei loro famosi workshop i Goulding si trovassero a lavorare con una persona che segnala questo tipo di problema, chiedendo di essere aiutata a superare la propria goffaggine, che per loro probabilmente implicherebbe l’aver ricevuto e accettato l’ingiunzione Non pensare, inviterebbero il cliente a chiudere gli occhi e a calarsi in una scena della sua infanzia, se ne ha in mente una, in cui i genitori o uno dei due gli ha dato dello stupido, per aver ad esempio rovesciato la tazza con il latte o essersi sporcato il vestito, o aver sbagliato un esercizio di aritmetica. Utilizzando la tecnica gestaltica delle due sedie, lo inviterebbero a rivolgersi a quel genitore facendogli dire che lui non è uno stupido, che allora era ancora troppo piccolo per saper tenere in mano la tazza del latte, o che da bambini è possibile sporcarsi e non per questo si è degli stupidi, come è possibile sbagliare un esercizio di aritmetica perché i bambini possono sbagliare. Sosterrebbero molto la rivendicazione dei bisogni negati di quel bambino suggerendogli di dire ai genitori che avrebbero potuto aiutarlo insegnandogli come fare invece di mortificarlo. Gli scenari possono essere vari, quello che importa è che la persona viva, seppur nella fantasia, una situazione in cui rifiuta l’etichetta o la suggestione ipnotica ed esprima invece, partendo dai suoi vissuti emotivi, le sue ragioni o i suoi bisogni, cosa che non ha potuto fare allora perché troppo piccolo.
Vediamo partendo da questo esempio che con la loro modalità di intervento i Goulding cercano di far vivere alla persona quello che in altri approcci teorici viene chiamata una esperienza emotiva correttiva, che è caratterizzata per l’appunto dal vivere sia concretamente che sul piano immaginativo una esperienza emotivamente diversa, contraria a quella vissuta originariamente, in modo da “rompere” l’incantesimo o la maledizione, o più semplicemente il condizionamento che ha rinforzato nel tempo l’espressione di certi comportamenti. Solitamente queste esperienze sono liberatorie perché liberano energie bloccate e tensioni ad esse collegate, permettendo alla persona di sperimentare qualcosa di nuovo, dandogli una sensazione di potenza. Questa è la ridecisione, credere che si può essere diversi, che si può agire diversamente e che non si è “condannati” a ripetere sempre gli stessi schemi comportamentali solo perché questi si sono ripetuti più volte nel corso della vita a partire dall’infanzia.
Pensiamo che al di là della tecnica ridecisionale in sé, tutto il lavoro che viene svolto in psicoterapia sia in fondo un lavoro ridecisionale in quanto tutti gli approcci cercano di modificare le premesse (sistema di credenze consce ed inconsce) che spingono quella determinata persona ad agire in un certo modo (decisioni). Certo negli scritti dei Goulding si coglie tutto il fascino che ha accompagnato nel tempo e in certi ambiti psicologici la sperimentazione di tecniche e procedure per produrre cambiamenti rapidi o arrivare alla soluzione immediata di un problema, fascino che abbiamo ritrovato anche altrove come nella terapia strategica di Nardone e Watzlawick o nella programmazione neurolinguistica di Bandler e Grinder.
Abbiamo già avuto modo di dire che il cambiamento (sia in terapia che nella vita) avviene quando si verifica un cambio di prospettiva nel modo di vedere la realtà, aspetto questo che non va a modificare la realtà in sé, quanto la percezione che si ha della realtà.
Pensiamo che la psicoterapia, indipendentemente dalle teorie di riferimento, cerchi di cambiare “le lenti degli occhiali” con cui il paziente guarda la realtà (interna, esterna, passata, presente, futura), perché cambiando lo sguardo cambiano le cose che si vedono e di conseguenza le azioni che si compiono. Il contributo importante delle scuole ad indirizzo cosiddetto psicodinamico è stato quello di mettere in evidenza il ruolo del fattore emozionale nell’innescare questo processo in quanto sensazione-percezione-emozione, sono strettamente legate ed influenzano inevitabilmente la cognizione intesa come insieme di schemi mentali che ognuno di noi utilizza per agire nella realtà.
Pensiamo che esperienze emotive significative, come le esperienze di insight o esperienze di tipo regressivo, siano importanti per produrre spostamenti percettivi che aiutano a vedere le cose diversamente favorendo quella che viene chiamata ristrutturazione cognitiva, ma riteniamo, sulla base della nostra esperienza clinica, che tali esperienze in sé a volte non siano sufficienti a produrre cambiamenti stabili. Tornando alla metafora usata in precedenza, possiamo dire che i “nuovi occhiali” vanno portati continuamente per abituare l’occhio alla nuova visione. La nuova prospettiva va rinforzata nel corso del lavoro terapeutico attuando quella che in analisi transazionale viene chiamata fase di riapprendimento in cui l’uscita dal copione e quindi dagli schemi d’azione ripetitivi e disfunzionali conseguente al processo ridecisionale, va sostenuta e consolidata in modo da evitare “ricadute” e ritorni a schemi d’azione precedenti.
Pubblicato il 06.09.2014