di Doriano Dal Cengio – Elisabetta Belloli
La Psicologia Umanistica è stata sicuramente uno degli orientamenti più originali emersi in campo psicologico, sia per la riflessione filosofica sulla “essenza dell’uomo” sia per gli apporti innovativi nel campo della pratica clinica. Questo approccio psicologico si è connotato fin dall’inizio non tanto per nuovi apporti teorici ma per l’essere sostanzialmente una psicologia applicata.
Nasce formalmente negli U.S.A. nel 1962 su iniziativa di Abraham Maslow che fondò, con un gruppo di psicologi, una nuova associazione che si proponeva come finalità di studiare le dinamiche emozionali e le caratteristiche comportamentali di un'esistenza umana piena e vitale. Una delle novità più interessanti proposte da Maslow fu quella di spostare l’asse di interesse dallo studio della patologia e della psicopatologia umana, allo studio delle persone sane che vivevano una vita soddisfacente e appagante. “Questi individui” dirà Maslow, “manifestano caratteristiche che vanno da una più accurata percezione della realtà all'assenza di atteggiamenti difensivi e artificiosi, da una fondamentale semplicità e naturalezza, ad una maggiore capacità di distacco e autonomia dall'ambiente, da un'intelligenza critica e creativa, ad una disposizione ad instaurare relazioni più collaborative, ricche e liberanti” (1954).
Il termine Psicologia Umanistica viene preso in prestito dal nome di una rivista fondata nel 1961 dallo psicologo americano Anthony Sutich. Già negli anni cinquanta Maslow e Sutich avevano avuto modo di confrontare le loro idee in merito ad una nuova visione della psicologia. Maslow infatti aveva già pubblicato nel 1954 il suo primo saggio "Motivazione e personalità", dove esponeva la sua teoria sulla gerarchia dei bisogni umani, sottolineando che “… il benessere individuale passa attraverso la gratificazione delle necessità dell'individuo a partire dai bisogni basilari, fisiologici, a salire attraverso quelli di sicurezza e tranquillità, amore e appartenenza, auto-stima/etero-stima, fino all’auto-realizzazione”, anche se a questo termine ha sempre preferito quello di “pienezza umana”.
Il contesto storico
Più che una scuola di pensiero organica la Psicologia Umanistica si configura come un movimento fatto da persone, studiosi e ricercatori di discipline anche diverse dalla psicologia come ad esempio pedagogia, filosofia, religione (notevoli le influenze del buddhismo e delle filosofie orientali) accomunate da una visione positiva dell’essere umano e dall’idea che scopo dell’esistenza umana fosse l’espressione delle proprie potenzialità (autorealizzazione).
Quello che hanno cercato di affermare gli psicologi e gli psicoterapeuti di orientamento umanistico è l’idea che nell’essere umano ci sia qualcosa di buono, che spinge allo sviluppo e alla crescita e che le vicissitudini e le circostanze umane, non solo in relazione alla propria infanzia, possano bloccare o limitare l’espressione del proprio potenziale, ma attraverso pratiche, tecniche e soprattutto esperienze, i blocchi possano essere superati e l’individuo possa riprendere il proprio personale viaggio verso la realizzazione.
Probabilmente, visto che i movimenti e le nuove tendenze non nascono mai staccati dal loro contesto culturale, va immaginato che questo bisogno di positività e di fiducia nelle potenzialità umane sia strettamente connesso alle vicende che hanno attraversato la società sia europea che americana nella prima parte del Novecento. L’umanità aveva conosciuto per la prima volta due conflitti mondiali con milioni di morti, le cui atrocità erano rimbalzate sulle cronache di tutti i giornali del mondo. Con la fine della seconda guerra mondiale si celebra inoltre la vittoria delle società democratiche sui regimi totalitari, ci sono nuove premesse, voglia di ricostruire e soprattutto di non dimenticare. Serve una nuova visione di progresso in cui credere che possa allontanarsi dal passato e sognare un futuro migliore.
E’ difficile immaginare che la psicologia, occupandosi dell’essere umano, del suo benessere, delle sue patologie, delle sue relazioni e delle sue prospettive non potesse cogliere “lo spirito del tempo” e farsene in qualche modo interprete. Ci sembra che la nascita della Psicologia Umanistica si inquadri all’interno di questa prospettiva. Del resto le visioni che avevano “fatto scuola” fino a quel momento erano sostanzialmente due, alquanto distanti fra loro, ma entrambe unite da una visione deterministica della natura umana e sostanzialmente pessimistica: da un lato quella psicoanalitica di Freud e successivi teorici e dall’altro quella comportamentistica di Watson e di Skinner.
Visioni a confronto
Le due visoni non si differenziavano solo su aspetti tecnici ma anche e soprattutto su aspetti teorici, proponendo due diverse visioni dell’essere umano.
Freud propone una visione deterministica e sostanzialmente pessimistica della natura umana: la psiche umana è caratterizzata da un’energia dinamica guidata da potenti pulsioni inconsce riconducibili alla sessualità e all’aggressività, che premono per essere soddisfatte sin dalla nascita. Gli esseri umani possono sopravvivere solo se la società in cui vivono riesce ad inibire e a incanalare (attraverso l’educazione) tali forze che potenzialmente sono molto distruttive. Le pulsioni inconsce saranno sempre in contrasto con le esigenze societarie di convivenza, il minore dei mali è quello di canalizzare le forze inconsce in attività socialmente desiderabili e ciò avviene mediante il processo di identificazione (interiorizzazione dei valori altrui, specialmente quelli dei genitori) e mediante il meccanismo della sublimazione.
Lo scopo del trattamento psicoanalitico è quello di rafforzare l'aspetto conscio e razionale della personalità in modo da prendere appunto coscienza e controllo delle forze inconsce nel tentativo di canalizzarle in maniera non distruttiva per l'individuo e per la società.
Watson e Skinner nel loro tentativo di costruire una psicologia scientifica, in linea con i dettami del positivismo, propongono una visione della natura umana in senso deterministico e meccanicistico. L'essere umano viene visto come programmato dal suo ambiente, le qualità umane non sono né buone né cattive, l'individuo nasce con un suo patrimonio genetico e parte di questo patrimonio genetico è la capacità di manipolare l'ambiente, in quanto ciò ha valore per la sopravvivenza della specie. I comportamenti, siano essi aggressivi o altruistici (amore e odio, simpatia e invidia e così via), non vengono considerati come inerenti alla natura umana, non scaturiscono da una particolare sorgente interna, ma sono semplicemente frutto del nostro apprendimento, sono il risultato dei rinforzi positivi o negativi che noi riceviamo dal nostro ambiente. Lo scopo della terapia comportamentale è quello di sostituire apprendimenti e comportamenti disfunzionali con altri più funzionali.
Nucleo centrale della Psicologia Umanistica è la concezione dell’essere umano come una totalità (mente-corpo-spirito), strutturata e relazionale, che si muove nel mondo orientata verso un fine. L’attenzione è posta su ciò che la persona sente, vive ed esperimenta (e sul significato che tutto ciò assume per lei) piuttosto che su criteri esplicativi logico-causali. La spiegazione causale mette a fuoco determinati meccanismi psichici funzionali a spiegare il comportamento, ma rischia di perdere la persona reale, esistente e vivente. Si intende, ovviamente, non negare l’esistenza di determinati meccanismi psichici ma piuttosto, semplicemente, affermare che essi assumono un senso solo se inseriti nella globalità del vissuto della persona. C’è da parte della Psicologia Umanistica, una critica evidente nei confronti dello scientismo e razionalismo occidentali che tendono ad impoverire l’essenza dell’uomo. La Psicologia Umanistica ribadisce una concezione della persona che tenga conto del razionale come dell’emotivo, del mentale come del corporeo.
I nuovi paradigmi
Per la Psicologia Umanistica la natura umana è razionale, positiva e degna di fiducia. Ogni organismo umano ha in sé una “tendenza attualizzante” per citare Rogers, che è una forza (Berne la chiamerebbe Physis), una sorgente di energia la cui direzione è verso lo sviluppo di tutte quelle capacità utili a mantenere, autoregolare ed autorealizzare l'organismo. Ci sono alcuni “paradigmi” su cui convergono i fondatori della Psicologia Umanistica, che trovano spazio nel “Manifesto” costitutivo dell’associazione voluta da Maslow. Fra i paradigmi più significativi troviamo:
1. L’attenzione sulla persona e sull'esperienza
La Psicologia Umanistica è interessata più alla pratica clinica, intesa come insieme di procedure, atteggiamenti e tecniche funzionali al cambiamento della persona, che alla definizione di modelli teorici di spiegazione del funzionamento della mente umana sia conscia che inconscia. Aspetto centrale del cambiamento è l’attenzione sulla persona che esperisce. “L’esperienza è per me la più grande maestra”, dirà Rogers, e su questo concetto convergono in molti fra cui Perls che ne fa il nucleo centrale del suo approccio gestaltico. Questo significa che, anche nella pratica clinica, non sono tanto o non solo, le spiegazioni teoriche, gli inquadramenti diagnostici, di ciò che si osserva ad avere particolari significati quanto l’importanza che ha per la persona ciò che viene vissuto, esperito sia all’interno del rapporto terapeutico che più estesamente nella vita.
2. L’interesse per qualità umane come la scelta, la creatività, l'autorealizzazione
L’essere umano nella prospettiva della Psicologia Umanistica, non è un essere passivo determinato e per certi versi vittima, delle sue pulsioni o dell’ambiente, ma è un protagonista del suo destino perché è responsabile di ciò che accade e gli accade, in quanto può scegliere. Da un punto di vista terapeutico, ci sono delle limitazioni conseguenti all’opinione che la persona ha di sè, del mondo e del suo rapporto col mondo, che le impediscono di esprimere pienamente le proprie potenzialità e quindi di permettere alla propria energia di fluire verso una meta che è definita, in quanto insita nella natura umana, e cioè la ricerca della propria autorealizzazione.
3. Il bisogno prioritario di significatività
La Psicologia Umanistica introduce in psicologia una ricerca che era propria della filosofia. L’uomo moderno ha bisogno di senso, è alla ricerca di senso. Questa dimensione va al di là dello star bene o dello star male, ma inquadra il proprio malessere o viceversa il proprio benessere in una visione più ampia di definizione di significatività. Dare senso alla propria vita significa pertanto attingere ad una gerarchia di valori in cui trovano posto anche una visione transpersonale, olistica, filosofica e spirituale. E’ evidente come l’esistenzialismo moderno e le filosofie orientali abbiano introdotto questo bisogno di significatività e influito sugli ispiratori di questo nuovo approccio.
4. L’interesse allo sviluppo del potenziale di ogni essere umano
La Psicologia Umanistica è interessata al processo di crescita. Tutto il ciclo vitale individuale è caratterizzato dallo sviluppo: di conoscenze, di competenze, di abilità, di qualità e così via. Ciò è più visibile nello sviluppo del bambino, ma nella prospettiva umanistica è un processo che continua per tutta la vita. E’ la metafora del seme che ha già in sé l’albero che sarà. E’ nella sua natura la tendenza a realizzarsi, come una pianta che darà i suoi frutti e affinché questo accada si devono avverare delle circostanze favorevoli, come trovarsi in un suolo ricco di sostanze nutritive e in un giusto clima, con temperature, dosi di acqua e di luce solare, atte a favorirne la crescita. Se non interverranno malattie o altri eventi, il seme completerà in pieno la sua tendenza a divenire pianta. In questo senso diremmo che si è realizzato. Lo stesso seme che invece si ritrovi a dovere affrontare circostanze più sfavorevoli, avrà lo stesso la sua tendenza a realizzarsi come pianta ma purtroppo gli saranno negate le possibilità di sviluppare appieno le sue potenzialità. Lo stesso concetto riguarda l’essere umano. Se le condizioni sono favorevoli la “tendenza attualizzante” o “physis” si rivela come un processo in continuo divenire nel quale l'individuo sviluppa il suo naturale potenziale di autorealizzazione e diventa una persona sempre più vera e pienamente funzionante. Se le condizioni sono state invece sfavorevoli, ecco che il percorso terapeutico può aiutarlo a ritrovare fiducia, a ridare un senso alla propria esperienza e a riprendere in mano la propria vita, che costituisce in sé la premessa per la ricerca della propria realizzazione.
Questi furono i temi portanti. Contribuirono al movimento condividendone lo spirito, nuove scuole psicologiche americane ed europee: dalla terapia centrata sul cliente di Carl Rogers alla gestalt-therapy di Fritz Perls, dall'analisi transazionale di Eric Berne, alla bioenergetica di Alexander Lowen, dalla psicosintesi di Roberto Assagioli alla logoterapia di Victor Frankl. Scuole queste con profonde differenze sia teoriche che metodologiche, ma con in comune la tendenza a privilegiare nel processo terapeutico, l'emozione e l'esperienza, rispetto al concetto e alla teoria. Questa scelta aprì la strada a sperimentazioni di nuove pratiche cliniche molto diverse da quelle usate in passato: dalla terapia individuale prevalente fino agli anni cinquanta a quella di gruppo, dalle pratiche verbali a quelle non verbali e corporee, da workshop intensivi alle terapie brevi.
Gli sviluppi
Oggi forse ci appare un po’ scontata questa evoluzione delle pratiche cliniche, ma è proprio grazie alle sperimentazioni e alle proposte di queste scuole che, dagli anni sessanta in poi, queste modalità sono diventate patrimonio comune di psicologi, terapeuti, educatori e formatori.
Molti degli approcci attuali sono derivati o in un certo senso sono una evoluzione delle proposte della Psicologia Umanistica, a partire ad esempio dalla Psicologia Transpersonale che vede sempre Maslow e Sutich fra gli ispiratori assieme ad altri, fra cui lo psichiatra cecoslovacco Stanislav Grof che ne suggerì il nome. La Psicologia Transpersonale introduce, in modo particolare, la dimensione spirituale, in quanto espressione più elevata, trans-personale appunto, della dimensione umana, recependo l’interesse emerso durante gli anni sessanta verso le varie tradizioni mistiche e spirituali.
Allo stesso modo la più recente Psicologia Positiva di Seligman e Csikszentmihaly recupera molti dei temi proposti dalla Psicologia Umanistica, rivisitati e approfonditi in chiave cognitivista. La Psicologia Positiva studia i modelli teorici e i meccanismi che favoriscono il benessere soggettivo e la felicità, cercando specifiche procedure atte ad accrescere la qualità della vita a partire da condizioni di normalità. Temi come il benessere, la speranza, l’ottimismo, l’autoefficacia, la tolleranza, la felicità vengono affrontati con un chiaro riferimento alla Psicologia Umanistica.
Della Psicologia Umanistica condividiamo lo spirito e la visione. Per noi essere psicoterapeuti umanistici significa credere nell’essere umano, credere che sia possibile evolversi diventando persone migliori, che i problemi e le difficoltà, che le persone hanno e per cui si rivolgono ad un terapeuta siano non solo fonte di sofferenza ma limiti alla propria personale evoluzione. Per noi significa vedere non solo le difficoltà o i problemi, ma anche le possibilità che le persone che incontriamo hanno, sapendo cogliere “il buono” che c’è in loro. Lavorare in senso umanistico per noi significa cogliere la parte sana delle persone e utilizzare le nostre competenze per darle spazio.
Pubblicato il 19.01.2011