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Mindfulness

di Doriano Dal Cengio

 

Si sta parlando molto di Mindfulness, e spesso questo termine viene usato come sinonimo di Meditazione, come se questa parola fosse un po’ vecchia o rimandasse ad una realtà collegata ad una pratica spirituale, o mistica o religiosa, mentre con il termine più moderno di Mindfulness ci si riferisse ad una accezione più laica e scevra di riferimenti mistico-religiosi. In realtà con Mindfulness si intendono due cose: uno stato mentale e una pratica meditativa.  

 

Mindfulness come stato mentale

Il termine in sé deriva dall’inglese mindful che significa: essere attento, prestare attenzione. Mindfulness, è una parola composta che vede l’unione del termine mind (mente) e fulness (pienezza) e quindi potrebbe essere tradotto letteralmente come pienezza della mente. Si sostiene che il termine Mindfulness sia la traduzione inglese della parola sati che nell’antica lingua pali, significa qualcosa traducibile come: ricordarsi, tenere bene a mente. La lingua pali è una lingua di origine indoeuropea che viene accostata al sanscrito vedico ed è ancora oggi usata nella liturgia del Buddhismo Theravada. Questa traduzione ci riporta al concetto già espresso precedentemente: essere attento, prestare attenzione, tenere a mente, ricordare. Ma che cosa si tratta di tenere a mente? Nella accezione Mindfulness si tratta di essere attenti al presente, ricordarsi di vivere nel presente, di essere cioè nel qui ed ora. In questo senso il termine Mindfulness richiama uno stato mentale, cioè la capacità di essere nel presente, di essere consapevole nel qui ed ora. Possiamo dire che siamo in uno stato mentale Mindfulness tutte le volte che siamo presenti nel qui ed ora, indipendentemente da quello che stiamo facendo, l’importante è essere consapevoli che lo stiamo facendo, avendo un atteggiamento di accettazione non giudicante.

Il concetto di “hic et nunc” latino, traducibile appunto con “qui ed ora” non è nuovo in ambito psicologico. Chi si è affezionato nel tempo all’opera di Fritz Perls e alla sua Gestalt-therapy, sa che Perls ne aveva fatto un costrutto quasi “religioso” per l’importanza che attribuiva all’essere nel qui ed ora, tanto da intitolare proprio così la sua autobiografia. Tutta la sua pratica clinica è centrata nel cogliere quello che sta accadendo nel qui ed ora tra paziente e terapeuta e i vari espedienti utilizzati (tecniche) per dare voce alle mani, ai piedi, al corpo, alle emozioni e ai pensieri o alle parti di sé, con il “gioco” dell’alternarsi sulle sedie (tipica tecnica gestaltica), aveva come scopo quello di rappresentare nel presente quello che il paziente viveva, in modo da favorire insight che stimolassero il cambiamento. Ma la stessa attenzione al qui e ora, la ritroviamo anche in altri approcci psicoterapeutici sia del filone umanistico che sistemico o bioenergetico. L’idea portante è che la vita con i suoi vari eventi può realizzarsi solo nel presente, perché un attimo dopo è già consegnata al passato e un attimo prima è ancora nel limbo del futuro. Quindi molti approcci psicoterapeutici si sono concentrati nel presente perché è lì che si può cogliere e stimolare il cambiamento, ma è anche lì che può convergere il passato sotto forma di ricordo o il futuro come espressione di aspettative. Se la vita scorre nel presente è pur vero che la mente può viaggiare nel tempo e quindi sia nel passato che nel futuro, infatti se nel corso della nostra giornata ci chiedessimo dove siamo, scopriremmo che spesso ci troviamo nel passato quando ricordiamo questa o quella situazione bella o brutta che sia. Lo stesso possiamo dire del futuro quando ci troviamo a fantasticare su quello che sarà, sia come espressione di un desiderio, che come sogno ad occhi aperti. Dal punto di vista dell’osservazione psicologica considerando gli aspetti emotivi, e in particolare i vissuti emotivi negativi, vediamo che quando una persona sta con la mente nel passato si ritrova spesso a coltivare rimpianti, la nostalgia per ciò che poteva essere e che non è stato, per le occasioni perdute, oppure per ciò che si aveva e che è andato perduto, o per ciò che non si è mai avuto perché non si è saputo cogliere quell’occasione. Di fronte a questo articolarsi di pensieri, emotivamente la persona vive nel presente, cioè nel qui ed ora, un senso di tristezza oppure di rabbia se il ricordo si lega ad una ferita subita. Possiamo dire che tristezza e rabbia sono emozioni che viviamo nel presente, quando la nostra mente si sofferma o rievoca situazioni dolorose del passato. Mentre la paura con tutte le sue declinazioni, che vanno dal nervosismo all’ansia, dalla fobia al panico è una emozione vissuta nel qui ed ora quando la nostra mente viaggia nel futuro e si costruisce, cioè si rappresenta, situazioni pericolose, minacciose, o addirittura catastrofiche che nel presente suscitano un senso di smarrimento perché non si sa se saremo in grado di affrontarle e temiamo il peggio, immaginando un esito sfavorevole.

Essere pertanto in uno stato mentale Mindfulness significa essere consapevoli di essere in questo preciso momento nel presente, essere nel qui ed ora, capaci di osservare quello che sta succedendo, quello che sta accadendo adesso. Ecco perchè il significato del termine Mindfulness più condiviso in letteratura non poteva che essere: attenzione consapevole, o più semplicemente consapevolezza.

 

Mindfulness come pratica meditativa

La Mindfulness come pratica meditativa si rifà alla Vipassana una pratica di tradizione buddhista. Vipassana, in lingua pali è una parola composta dal prefisso vi che viene tradotto come “in maniera speciale” e la radice passana che significa “osservare, guardare” pertanto assume il significato di “vedere in modo speciale … guardare in profondità … osservare le cose come sono in profondità”. E' una pratica molto antica che alcuni fanno risalire a prima di Siddhartha Gautama, il primo Buddha Shakyamuni che la riscoprì, la praticò e la insegnò come metodo utile per “uscire da ogni tipo di sofferenza”. E' una pratica di ritiro in se stessi, di isolamento dal mondo esterno, in cui ci si concentra nell'osservazione del proprio respiro e nell'atto di respirare. E' una pratica di presenza mentale e di osservazione interiore in cui l'attenzione viene rivolta al proprio interno, al respiro, alle sensazione del corpo, lasciando andare i propri pensieri in modo da favorire uno svuotamento della mente, facilitando così una dimensione di silenzio e di pace interiore che si realizza nell' essere presente nel qui ed ora.

In occidente la Mindfulness acquisisce popolarità grazie al lavoro di Jon Kabat-Zinn, un biologo molecolare dell'Università del Massachusetts. Verso la fine degli anni settanta Kabat-Zinn partecipò ad un ritiro di Vipassana condotto negli Stati Uniti da Thich Nhat Hanh, un monaco buddhista di origine vietnamita. Thich Nhat Hanh è oggi assieme al Dalai Lama una delle personalità più rappresentative del Buddhismo mondiale. Monaco della tradizione Rinzai, scuola di pensiero zen, è anche poeta, scrittore e soprattutto costruttore di pace, nonchè principale rappresentante del Buddhismo impegnato. Noto attivista durante la guerra in Vietnam diede vita ad un movimento di resistenza non violenta denominato “i Piccoli corpi di Pace” che assieme a monaci e laici si prodigavano nel ricostruire nelle campagne scuole, ospedali e villaggi bombardati. Per il suo attivismo contro la guerra, Martin Luther King lo propose nel 1967 come candidato al premio Nobel per la Pace. Attualmente vive in Francia dagli anni ottanta dove ha fondato i Plum Village, una comunità diffusasi in tutto il mondo che vede monaci e laici impegnati a vivere “nella consapevolezza e nella pace”. L'incontro con Thich Nhat Hanh stimolò Kabat-Zinn a dar vita nel 1979 alla Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), un programma di medicina complementare sviluppato per affrontare una serie di problemi di salute riconducibili allo stress, all'ansia e alla depressione. Grazie a fondi elargiti dal National Institutes of Health, Centro Nazionale per la medicina complementare e alternativa, il lavoro di Kabat-Zinn si struttura e si amplifica. Il protocollo MBSR è un corso intensivo di formazione in 8 settimane con incontri a cadenza settimanale che riunisce pratiche di consapevolezza mindfulness, esercizi di stretching e yoga, incontri e discussioni di gruppo, compiti per casa. Lo scopo è quello di aiutare le persone a prendersi cura di sé, introducendo pratiche che aiutano a cambiare lo stile di vita in modo da coltivare una maggiore consapevolezza della propria unità psicosomatica.

Il programma MBSR iniziato nel 1979 presso la Clinica per la riduzione dello Stress del Centro Medico dell'Università del Massachusetts è ora disponibile in più di 200 centri medici, ospedali e cliniche in tutto il mondo. Il programma MBSR viene tenuto da medici, infermieri, assistenti sociali e psicologi, opportunamente formati e ha lo scopo di affiancare e accompagnare il decorso di molte malattie trattate dalla medicina convenzionale, in modo da favorire quella che potremmo definire una medicina partecipativa in cui il paziente si assume la responsabilità di partecipare al lavoro di cura apprendendo e mettendo in pratica tecniche che attivano risorse interori che favoriscono il processo di guarigione.

Il modello di base nel tempo si è ulteriormente arricchito anche grazie al contributo della psicologia soprattutto di tipo cognitivo-comportamentale, infatti oggi si parla tra l'altro di Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT) che include tecniche psicologiche funzionali soprattutto nel contrastare l'ansia e la depressione. Sembra comunque che ci sia attualmente un maggiore interesse ad integrare pratiche di consapevolezza mindfulness e psicoterapie non solo cognitivo-comportamentali ma anche ad integrazione corporea e psicosomatica. Oggi il protocollo base di MBSR viene proposto e adattato per svariate forme di disagi e patologie, come: disturbi di somatizzazione, dolori cronici, malattie cardiovascolari, cancro, malattie polmonari, ipertensione, cefalea, disturbi del sonno, disturbi del comportamento alimentare, prevenzione delle ricadute nelle dipendenze patologiche, disturbi d'ansia e attacchi di panico, malattie della pelle, e più in generale malattie a manifestazione psicosomatica.

Centrale in tutti questi percorsi è la pratica della Mindfulness, intesa come pratica meditativa da intendersi, per usare le parole stesse di Kabat-Zinn come “ … un lavoro che coinvolge la regolare e disciplinata pratica di consapevolezza del respirare momento per momento e la completa accettazione non giudicante di ogni momento della esperienza, buono o cattivo che sia." Kabat-Zinn sostiene l'universalità della Mindfulness e della sua MBSR, infatti ritiene che nonostante la meditazione Mindfulness sia più comunemente insegnata e praticata nel contesto del buddhismo, la sua essenza è da ritenersi universale e non specificatamente di carattere religioso o spirituale perché è appunto una pratica di consapevolezza, di presenza mentale nel qui ed ora. Ritiene tuttavia non sia casuale che la Mindfulness emerga dalla tradizione buddhista, perché fin dalle sue origini il Buddhismo si è proposto non tanto come una religione quanto invece come disciplina interiore, come filosofia applicata con molte implicazioni di carattere psicologico, avendo come preoccupazione fondante il sollievo dal dolore e dalla sofferenza umana. Tradizionalmente infatti l'origine del Buddhismo viene fatto risalire all'enunciazione delle Quattro Nobili Verità espresse, si presume intorno al 523 a.c. dal Buddha Shakyamuni, il primo Risvegliato appartenente alla nobile famiglia dei Shakya, nel discorso tenuto nel Parco dei Daini (o delle gazzelle), a Sarnath vicino alla città di Varnasi nel nord dell'India. In quell'occasione il Buddha annuncia ciò che aveva capito nel suo pellegrinare per il mondo, dopo aver abbandonato anni prima, fuggendo di nascosto, il palazzo reale dove il padre lo teneva “prigioniero” per proteggerlo dalle brutture del mondo. Quello che lui aveva capito si riassume appunto nelle Quattro Nobili Verità che si possono così enunciare:

1. La vita è sofferenza e dolore;

2. La sofferenza e il dolore sono conseguenza del desiderio e dell'attaccamento;

3. E' possibile superare il dolore la sofferenza;

4. La via che porta al superamento del desiderio e dell'attaccamento che sono causa di dolore e di sofferenza è la via della disciplina interiore, che poi verrà esplicitata nel cosiddetto Nobile Ottuplice Sentiero.

Con queste premesse di straordinaria contemporaneità, diventa chiaro il motivo per cui molti occidentali, come nel caso di Kabat-Zinn ma non solo, abbiano guardato con interesse laico al Buddhismo e alle tecniche provenienti da quella cultura, come del resto anche dall'induismo che lo precede, basti pensare allo yoga e a tutta la tradizione vedica, proprio per l'interesse espresso nei confronti della sofferenza e del dolore umano con il conseguente tentativo di proporre discipline e tecniche funzionali al loro superamento.

 

Mindfulness e Cervello

Negli ultimi quindici anni c'è stato un notevole sviluppo degli studi sulle pratiche meditative con particolare riferimento alla loro influenza sul cervello e sulla salute in generale. In particolare nei confronti del cervello questo incremento di studi si è reso possibile grazie al progresso della tecnologia d’indagine non invasiva, come la risonanza magnetica funzionale, la tomografia ad emissione di positroni e l'elettroencefalogramma computerizzato, tecniche d'indagine che permettono di “fotografare” l’attività cerebrale in relazione a determinate situazioni. Questo ha comportato una significativa evoluzione delle Neuroscienze come disciplina capace di studiare come funziona il cervello in rapporto all’attività umana nel suo complesso. Ci sono delle osservazioni derivate da questi studi che vale la pena sottolineare prima di entrare nel merito dell’influenza della pratica mindfulness sul cervello.

Il cervello è una realtà complessa, costituita da circa 100 miliardi di neuroni ognuno dei quali è capace di costruire da cento a mille connessioni con altri neuroni, creando così una rete di contatti enorme. Questa realtà matura nel corso del tempo e adesso sappiamo, grazie alle ricerche svolte agli inizi degli anni novanta soprattutto da Jay Giedd ricercatore del National Institute of Mental Health di Bethesda, che la maturazione cerebrale sembra realizzarsi quando l’individuo ha concluso l’adolescenza, intorno ai 20-22 anni. Parlare di maturazione cerebrale significa dire che le varie aree cerebrali dove avvengono determinati processi arrivano a completare contatti e connessioni sinaptiche in modo da favorire la comunicazione e l’interscambio fra le singole aree, così da garantire il funzionamento complessivo del cervello. Questo non significa che il cervello poi rimane tale e quale per il resto della vita, salvo subire l'inevitabile calo delle performance cognitive dovute allo scorrere del tempo come invece si credeva fino a qualche decennio fa. Oggi grazie allo sviluppo delle Neuroscienze sappiamo che il cervello è in grado di sviluppare nel corso della vita nuove connessioni intensificando l’integrazione fra le sue varie parti attraverso il fenomeno della plasticità neurale che avviene sostanzialmente in seguito a due diversi processi: la sinaptogenesi (creazione di nuove sinapsi) e la neurogenesi (capacità di generare nuovi neuroni). Si ritiene che questi processi vengano innescati dall’esperienza. Ogni volta che noi facciamo nuove esperienze e le rinforziamo ripetendole, favoriamo la nascita di nuove connessioni neurali, amplificando così la rete di interconnessione neurale. Questo aspetto costruisce un ponte fra cultura e biologia, in quanto l’esperienza e quindi la cultura stimola l’organizzazione biologica, ma anche l’organizzazione biologica e genica gioca un ruolo, in quanto favorisce l’apprendimento di esperienze. Come sostiene Daniel Siegel, psichiatra, professore di psichiatria presso la facoltà di Medicina della UCLA (University of California, Los Angeles), nel suo libro Mindfulness e Cervello, “ … noi non abbiamo ancora le idee chiare su come funzioni il cervello in relazione alla natura soggettiva della mente …Possiamo dire che le funzioni della mente e del cervello sono correlate. E’ troppo semplicistico limitarsi a dire che il cervello crea la mente, perché adesso sappiamo che anche la mente può attivare il cervello”. “Quello che sappiamo - sostiene Siegel - è che la mente è un flusso di energia e informazioni e in quanto tale, può stimolare in modo diretto l’attivazione del cervello e può modificarne le connessioni strutturali”.

Gli studi di Richard Davidson sugli effetti della Mindfulness sul cervello vanno in questa direzione. Davidson è un neuroscienziato dell’Università del Wisconsin ed è un membro stabile del Mind and Life Institute, una organizzazione no profit che dalla fine degli anni ottanta, su richiesta del Dalai Lama organizza ogni anno un seminario in cui i principali scienziati occidentali dialogano con monaci buddhisti su temi che mettono a confronto le più avanzate ricerche sul cervello, sulla mente, sul benessere mentale, sulla fisica quantistica ed altro, con le tradizionali osservazioni degli insegnamenti buddhisti. Il tutto avviene con la supervisione del Dalai Lama e rappresenta un interessante dialogo fra le osservazioni proposte dalla scienza oggettiva e quelle proposte dall’esperienza soggettiva. E’ all’interno di questo confronto che è nata la collaborazione fra il dott. Davidson e il Dalai Lama che ha favorito agli inizi degli anni duemila una serie di ricerche sull’attività cerebrale di monaci buddhisti esperti nell'ambito della meditazione. L’esito di queste ricerche, che si aggiungono e si integrano con quelle di altri studiosi come Andrew Newberg, Sara Lazar, Daniel Goleman, Kabat-Zinn e lo stesso Daniel Siegel, portano tutte alle stesse conclusioni. La pratica Mindfulness porta nel tempo a modificare il cervello, in particolare le modifiche vanno a coinvolgere alcune aree e strutture cerebrali di estremo interesse proprio per le funzioni che esercitano sul piano dell’esperienza umana.

Il focus delle osservazioni riguardano l’aumento dell’attività bioelettrica e del flusso sanguigno registrata nei lobi frontali e in particolare nell’area della corteccia prefrontale mediale (corteccia orbitofrontale, corteccia del cingolato anteriore, corteccia prefrontale ventrolaterale e mediale). Quest’area riceve imput da tutto il cervello e dal corpo, qualificandosi come un’area di convergenza e integrazione di molte funzioni. In quest’area ci sono strutture di collegamento con il sistema limbico (amigdala, ippocampo, nucleo acubens, …) ma anche con il rinencefalo attraverso il circuito ipotalamo - tronco encefalico - midollo spinale. Queste aree caratterizzate da circuiti estremamente complessi dialogano tra loro attraverso informazioni afferenti secondo la logica del basso verso l’alto (bottom-up) e informazioni efferenti o esecutive dall’alto verso il basso (top-down). Detto in altre parole la corteccia prefrontale mediale dialoga ricevendo informazioni e dando indicazioni con il cervello emotivo (sistema limbico) e il più arcaico cervello rettile (rinencefalo) secondo la definizione proposta da Paul McLean, favorendo l’integrazione fra le funzioni esercitate da queste aree. Il fatto che le osservazioni proposte dai vari studiosi citati convergano del sostenere che le pratiche meditative basate sulla consapevolezza “rinforzino” questi circuiti a seguito dell’aumento dell’attività bioelettrica, e del flusso sanguigno registrato, favorendo anche un “aumento di spessore” in alcuni specifici punti, come sostengono gli studi di Sara Lazar, fa pensare che la pratica meditativa stimoli una attività di sinaptogenesi o di neurogenesi in quei determinati punti, e questo porta ad ipotizzare un possibile potenziamento delle funzioni svolte in queste aree.

Daniel Siegel, nel testo citato, elenca nove funzioni che sono espressione dell'attività modulatoria della corteccia prefrontale mediale e delle relative connessioni che verrebbero potenziate dalla pratica della consapevolezza mindfulness, nel corso del tempo e in relazione alla costanza della pratica. Vediamole brevemente.

  1. regolazione corporea. Passa attraverso le funzioni di freno e acceleratore sul sistema nervoso autonomo andando quindi a modulare l'azione del sistema ortosimpatico e parasimpatico, che sappiamo riveste un ruolo importante nel funzionamento di molti organi interni, anche in relazione alle manifestazioni collegate allo stress.

  2. comunicazione sintonizzata. Implica la capacità di sintonizzarsi con le altre persone, coordinando e modulando gli imput comunicativi ricevuti in modo da favorire la comprensione dell'Altro. L'attivazione del cosidetto “circuito della risonanza” andrebbe a stimolare un processo identificatorio nei confronti dell'Altro che porterebbe a coglierne non solo l'aspetto comunicativo in senso stretto ma anche emotivo.

  3. equilibrio emotivo. Implica l'azione bilaterale esercitata nei confronti delle aree limbiche preposte alla modulazione delle risposte emotive e all'organizzazione degli affetti. Le regioni prefrontali mediali, grazie ai circuiti di collegamento con il sistema limbico hanno la capacità di monitorare e modulare i livelli di aurosal emotivo in modo da inibire l'eccitazione neurale limbica quando raggiunge livelli troppo alti. Questo si traduce psicologicamente nella capacità di controllo emotivo come risposta a determinate situazioni.

  4. flessibilità della risposta. Con questo termine si intende la capacità di fermarsi un momento prima di agire. Questo meccanismo estremamente utile nell'interazione sociale, implica la capacità di valutare gli stimoli afferenti, ritardare la reazione, valutare le opzioni possibili prima di passare all'azione. Questo processo viene governato dalle regioni prefrontali mediali in concerto con le aree laterali.

  5. empatia. Come è noto è la capacità di porsi nei panni degli altri, unendo comprensione e partecipazione emotiva, che sono fondamentali nella costruzioni di relazioni positive con gli altri. Sembra che questa dimensione a livello cerebrale sia mediata dall'attivazione dei circuiti della risonanza che colgono i mutamenti che dal livello limbico giungono alle aree prefrontali attraverso l'insula dove vengono interpretati e valutati sottoforma di immaginazione empatica.

  6. insight. Viene inteso come la capacità di essere consapevoli di sé, non solo nel momento presente ma anche connettendolo al proprio passato e al futuro. Questo avviene attraverso il lavoro delle aree prefrontali mediali e i collegamenti con varie aree corticali che recuperano le informazioni mnestiche anche con la loro coloratura emotiva in modo da creare una rappresentazione consapevole della storia della propria vita.

  7. modulazione della paura. Questa capacità passa attraverso la modulazione inibitoria dell'attività eccitatoria dell'amigdala, struttura che come ha messo in luce il neurobiologo Joseph LeDoux, è fortemente implicata nella percezione degli stati emotivi negativi e in particolare della paura.

  8. intuizione. Funzione importante sia nell'articolazione dell'attività cognitiva che delle nostre reazioni, sembra sia dovuta alla registrazione e rielaborazione, che avviene nelle aree prefrontali mediali, di imput neurali provenienti da tutto il corpo e in particolare da organi interni (cuore, polmoni, intestino).

  9. moralità. Sembra accertato il coinvolgimento dalla corteccia prefrontale mediale nella definizione del comportamento morale inteso in senso lato come la capacità di immaginare cosa è meglio in determinate situazioni non solo per se stessi, ma anche nei confronti degli altri, implica la capacità di discernimento fra ciò che appare giusto o sbagliato, accettabile o meno.

 

Queste considerazioni di Daniel Siegel darebbero un spiegazione “scientifica” a quella che è apparsa finora come una soggettiva esperienza di empowerment in chi pratica da tempo forme di meditazione mindfulness e che si può riassumere in una sensazione di maggiore rafforzamento della propria capacità di controllo emotivo, di maggiore calma interiore, di sviluppo della capacità intuitiva e dell’intelligenza emotiva, come anche di una maggiore capacita di empatia e quindi di comprensione dell'Altro.

 

Mindfulness e Salute

Come si è detto gli studi riguardanti gli effetti sulla salute di varie pratiche di consapevolezza sono andati moltiplicandosi nel corso degli ultimi decenni e coinvolgono sia pratiche di meditazione mindfulness che pratiche psicofisiche come lo yoga, il tai chi, il qi gong etc.

Sono stati impiegati svariati strumenti di ricerca: analisi biochimiche per valutare i cambiamenti ormonali nel sistema endocrino e immunitario, analisi elettrofisiologiche (EEG, RMF, PET) per valutare gli effetti sul cervello in termini di attivazione o riduzione e qualità dell'attività bioelettrica nelle varie aree interessate, test psicologici per capire quanto veniva influenzata la dimensione emotiva, intellettiva e relazionale, condotti follow-up per verificare nel tempo la stabilità o meno di determinate variazioni. Oggi si può dire che nonostante il campo di ricerca rimanga attivo e promettente, alcune considerazioni cominciano ad affermarsi come certe.

Vediamo cosa ci dicono gli esiti di queste ricerche. L'area che forse ha maggiormente attirato l'attenzione è quella riguardante lo stress. Il lavoro di Jon Kabat-Zinn e del suo protocollo MBSR ha sicuramente stimolato la ricerca sia dello stesso Kabat-Zinn che di altri ricercatori. L'interesse per le pratiche antistress nasce da fatto che si ritiene che i ritmi di vita attuali, la complessità di stimolazioni a cui è sottoposto l'uomo moderno, l’inquinamento e squilibrio ambientale con i suoi riflessi sulla salute, riducano la capacità di adattamento positivo dell'Organismo umano. Oggi si pensa che la prolungata esposizione dell'Organismo a eventi avversi (stressor) vada oltre la capacità generale di adattamento, ipotizzata da Hans Seyle, negli anni cinquanta, e produca in realtà malattia. L'alterazione dei vari parametri fisiologici che dovrebbe essere temporanea in modo da permettere all'Organismo di trovare nuovi adattamenti, rischia di diventare permanente portando l'Organismo ad una sindrome di logoramento che riduce le sue capacità omeostatiche. L'indebolimento delle risposta immunitaria, che è al centro degli interessi della PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) nuova disciplina scientifica che cerca di mettere insieme in una visione unitaria il funzionamento di vari sistemi biologici, viene oggi considerata all'origine di molte patologie. Si pensa che l'indebolimento della reazione immunitaria lasci spazio non solo all'aggressione batterica e virale con relative conseguenze, ma sia alla base anche del prolungarsi dei processi infiammatori, che vari esperti vedono implicati in possibili mutazioni genetiche capaci di produrre cellule mutanti con conseguente sviluppo di patologie tumorali. Anche in relazione al cancro ci sono interessanti osservazioni che vedono implicata la risposta immunitaria come parte integrante del sistema autoprotettivo in grado di identificare e eliminare le cellule mutanti grazie all’azione dei linfociti NK (natural killer). L’indebolimento della risposta immunitaria riduce questa capacità protettiva. Diventa pertanto giustificato da più fronti l'interesse nei confronti di pratiche che cerchino di mantenere l'Organismo reattivo e in buona salute, sia per favorire il recupero nei confronti di varie malattie ma anche e soprattutto per finalità preventive.

Gli studi ci dicono che la meditazione e le pratiche mindfulness sono efficaci per la riduzione e gestione dello stress.

E' dimostrato che la meditazione riequilibria l'attività del sistema nervoso autonomo. La definizione fornita da Robert Wallace già negli anni settanta, in cui si definisce lo stato meditativo come “uno stato ipometabolico ad alta vigilanza” è stato confermato anche successivamente. C'è una riduzione dell'attività del sistema nervoso ortosimpatico (eccitatorio-attivante) a favore di un incremento dell’azione del sistema nervoso parasimpatico (rilassante-calmante). Il che significa favorire il detensionamento dell'Organismo che implica: minore tensione muscolare, nervosa e psicologica, riduzione della frequenza respiratoria, del battito cardiaco e quindi dell’ipertensione sanguigna, riduzione del consumo di ossigeno e del lattato ematico, e aumento della resistenza elettrica della pelle, indicativo di una bassa eccitazione emotiva.

E’ dimostrata inoltre la riduzione del cortisolo, ormone dello stress e dell’ansia, come anche della adrenalina e della noradrenalina sempre implicate nella risposta stressante. E' stata registrata una diminuzione del testosterone implicato nell’aumento dell’aggressività e dei comportamenti violenti. Diminuiscono le citochine infiammatorie favorendo la riduzione dei processi infiammatori. Le citochine infiammatorie va ricordato sono la prima causa di disturbi fisici come: gastriti, bronchiti, tonsilliti, vaginiti, tendiniti, coliti, cistiti, appendiciti, ecc.

Le pratiche mindfulness, aumentano la liberazione del GABA ormone che favorisce rilassatezza, emozioni positive, minor senso di fatica e migliore memoria ed apprendimento. Si registra un aumento nella produzione di serotonina e dopamina che sono implicate tra l'altro nella regolazione del tono dell'umore, dando una sensazione di maggiore benessere. Si ha un aumento delle beta-endorfine del sistema degli oppioidi endogeni, favorendo così una riduzione della percezione del dolore e della sofferenza a favore di una sensazione di maggiore serenità. Lo stesso dicasi per l’ossitocina, un ormone che esercita molte funzioni tra cui la capacità di influenzare l’atteggiamento amorevole e il prendersi cura.

Gli studi ci dicono che l’interazione delle pratiche mindfulness con l’attività cerebrale ed endocrina favorisce un aumento delle emozioni positive e della stabilità emotiva che si traduce poi nel quotidiano, con una maggiore soddisfazione nei confronti della vita, con la sensazione di maggiore controllo nei confronti delle proprie esperienze, una migliore capacità di espressione e percezione delle emozioni sia proprie che altrui. Migliora come si è detto, l’empatia, l’affettività, la comprensione reciproca e la comunicazione, e quindi più in generale si segnala un miglioramento delle relazioni umane.

Da quello che emerge dalla letteratura si può dire che le pratiche mindfulness sostanzialmente trovano spazio di applicazione in due diverse direzioni. Da un lato vengono utilizzate e consigliate anche con l’utilizzo di protocolli specifici in ambito curativo. Come ha dimostrato l’esperienza di Kabat-Zinn, rientrano in un approccio di medicina complementare che affianca la cura convenzionale, in modo da stimolare la modificazione dello stile di vita del paziente e favorire la ripresa della salute. Non sorprende quindi il loro utilizzo nell’ambito della cura di patologie come le cardiopatie e il cancro, che sono le due principali patologie che affliggono la società occidentale. Vengono inoltre consigliate nell'integrazione di terapie psicologiche per la gestione dell’ansia e della depressione, come sono utilizzate fra i rimedi di quella vasta categorie di disturbi a valenza psicosomatica che sono correlati all’azione dello stress sull’Organismo. L’altra direzione in cui vengono utilizzate è il campo del benessere e della qualità di vita. Questo è l’ambito preventivo in cui si cerca di mantenere non solo un adeguato stato di salute ma si cerca di aumentare il livello di soddisfazione personale e la capacità di realizzazione delle proprie aspirazioni nella vita.

 

Per un maggiore approfondimento, anche bibliografico degli studi riguardanti le pratiche mindfulness, si consiglia la visione dei documenti del “Progetto Benessere Globale” nel sito: www.psicosomaticapnei.com, dell’Istituto di Psicosomatica PNEI, del Villaggio Globale di Bagni di Lucca.

 

Pubblicato 06.12.2014